Radio Popolare, Radio Alice, Radio Aut: vite diverse, stili distanti, identica capacità di incidere profondamente sul tradizionale modo di intendere la radio. Comune alle tre emittenti fu la convinzione di poter avviare in tempi brevi un processo che avrebbe cambiato il modo di comunicare dando finalmente voce a settori, sociali e politici, che troppo a lungo ne erano rimasti privi, partendo dall’idea che lo strumento radiofonico avesse in sé già tutte le potenzialità per farlo, potenzialità che non erano state messe completamente in atto dal modello radiofonico egemone, ossia quello della Rai. Nell’attuare questo progetto, le tre radio seguirono strade diverse, nel confronto, infatti, si rivelano meno parallelismi che differenze.
Radio Popolare si definì, fin dagli esordi, una “radio di servizio a vocazione informativa”, ma con la pretesa di elaborare una nuova “politica dell’informazione”, declinando in questo modo la sua esperienza su una modificazione profonda dei vecchi e consolidati modi di fare giornalismo e informazione radiofonica: cambiò l’organizzazione del lavoro, si rimodellarono i profili professionali, cambiarono i rapporti tra redazione e proprietà, lo stesso prodotto giornalistico si modificò con riflessioni adeguate sulla sua destinazione sociale, non tanto per migliorare genericamente l’informazione, ma per rispondere adeguatamente ai bisogni di accesso e pluralismo.
Nasce, formalmente, nel dicembre 1975, quando è registrata la testata presso il tribunale di Milano. Ma per ascoltare le prime trasmissioni bisognerà attendere l’estate dell’anno successivo. Incomincia a trasmettere dalle frequenze di Radio Milano Centrale di Luzzatto Fegiz, ma in brevissimo tempo si impossessa sia della frequenza sia di un cospicuo numero di giornalisti. Il passaggio avviene definitivamente nell’autunno del ’76. Il gruppo redazionale è composto da giornalisti e futuri giornalisti, come Paolo Hutter, Ivan Berni, Biagio Longo, Bruna Miorelli, Lapo Berti, Federico Pedrocchi, Roberto Briglia, Michele Cucuzza, e soprattutto giovani, non professionisti, alcuni senza verità in tasca altri portatori delle verità dei diversi segmenti di movimenti e dunque diverse tra loro.
Sono tante le questioni doverosamente registrate, investigate e commentate da Radio Popolare: il tempo libero e la difficoltà di viverlo nei quartieri periferici di Milano; e dalle periferie urbane alle inchieste sul futuro per sondare aspirazioni e prospettive dei giovani su temi come il lavoro, il matrimonio, la casa; ci sono finanche inchieste sulla diffusione dei primi video games. Tra inchieste, dibattiti e microfoni aperti c’è tutto un mondo giovanile chiamato a fornire una rappresentazione alle proprie emozioni, aspirazioni e identità. La radio si è dimostrata così luogo perfetto per tracciare le geografie di un cambiamento tra i giovani. Ha lasciato tracce precise del passato, ha reso inesorabilmente il passare del tempo e il sedimento degli anni nelle voci di tanti ragazzi e ragazze. Di quell’universo, Radio Popolare ha saputo cogliere e restituire le passioni ideali nonché gli aspetti per così dire “materiali” e al contempo “post - ideologici”. Ma a parte questi affondo tra le voci e le storie dei giovani e giovanissimi della fine del decennio Settanta, ciò che con questo materiale audio si è cercato di far emergere è un modo di essere di Radio Popolare. E in primo luogo la sua disponibilità fuoriuscire dai rigidi steccati di “popolo di sinistra” e riuscendo a svelare e andare a fondo su vicende anche “estranee” al proprio bacino di formazione trasformando lo strumento radiofonico in una assemblea aperta, un momento collettivo, un atto di riflessione talvolta con puntate nella vera e propria autocoscienza.
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